IL POMODORO “SICCAGNO”
Nella provincia di Palermo, soprattutto nell’area interna, molti agricoltori coltivano il pomodoro senza acqua, comunemente detto “Siccagno”, una coltura primaverile-estiva che trae origine da un’antica tradizione contadina, ma ancora in uso in molte aziende in Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania. Questa coltura ha una notevole importanza socio-economica per il notevole fabbisogno di lavoro che impegna, soprattutto nel periodo della raccolta, un consistente numero di operai agricoli e poiché, nei mesi estivi, integra i redditi degli agricoltori. Caratteristica peculiare di questo pomodoro è l’eccezionale capacità delle bacche di mantenersi a lungo in buono stato grazie all’alta flessibilità dell’epidermide esterna.
Le piante di pomodoro, messe a dimora tra fine marzo e la metà di maggio, entrano in produzione ad agosto per rimanervi per tutto settembre. Il prodotto, avendo una maturazione scalare, viene raccolto manualmente a intervalli quindicinali.
Il pomodoro è commercializzato in cassette di legno da circa 20 kg e viene destinato ai mercati ortofrutticoli all’ingrosso oppure ceduto, direttamente nelle campagne, a commercianti che lo destinano, generalmente, al mercato locale.
Nel 2012 il Pomodoro Seccagno ebbe il suo primo riconoscimento ufficiale: il Presidio Slow Food “Pomodoro seccagno della valle del Bilici”, torrente che attraversa l’area di produzione di questo prodotto, fu presentato al Salone del Gusto di Torino; con il presidio si scelse di valorizzare una cultivar antica, il Pizzutello, poco stimata dai produttori a causa della poca consistenza della bacca a maturazione, della scarsa conservabilità del prodotto e dalle basse rese in regime di aridocoltura. Il Presidio è composto, sinora, da un solo produttore.
Ad oggi con il termine Seccagno ci si riferisce ad un metodo di coltivazione che prescinde dalla varietà di pomodoro utilizzata; negli anni si sono imposte nuove varietà come il Brigade e l’Interpeel, economicamente più convenienti in quanto, con la raccolta fatta a mano, il frutto più grosso consente di ottimizzare i tempi di raccolta, con un risparmio notevole sui costi di produzione, dove la raccolta è la voce più importante. Pertanto con il termine Pomodoro Seccagno più che identificare una particolare cultivar viene posta l’attenzione sulla tecnica colturale adottata durante il processo produttivo e sull’ambiente pedoclimatico di riferimento.
La coltura in Seccagno è intimamente legata all’ambiente geografico dell’entroterra siciliano, caratterizzato da un clima mediterraneo semi-asciutto, con estati lunghe e siccitose, piovosità concentrata prevalentemente nel periodo autunnale ed invernale, inverni generalmente miti ed estati calde con moderate escursioni termiche tra il giorno e la notte.
Le condizioni microclimatiche e pedologiche dell’area di coltivazione, l’intensità luminosa e la lunga esposizione alle radiazioni solari a cui sono soggetti i suoli, le tradizionali tecniche di coltivazione, la mancanza di acqua nel ciclo biologico della pianta, conferiscono al frutto caratteristiche di qualità (sapore, consistenza della polpa, durata post-raccolta, colore e lucentezza del frutto) difficilmente riscontrabili in altre aree di produzione.
Molti terreni della zona sono costituiti da componente argillosa montmorillonitica e/o da sabbie plioceniche miste a materiale argilloso, talvolta caolinitico, che sono alla base della buona fertilità agronomica e in particolar modo della loro consistente capacità di autoregolazione idrica, soprattutto nella stagione di assenza o scarsità di piogge.
L’umidità relativa dell’atmosfera che pur si mantiene in primavera estate al di sotto dei livelli ottimali per una equilibrata traspirazione della specie, induce la pianta ad ispessire i tessuti a palizzata delle foglie e a ridurre l’apertura degli stomi. Al determinismo di detti processi intervengono pure le temperature elevate di giorno, ma con ritorno a più bassi livelli nelle ore di mancata insolazione. Per quanto la traspirazione rimanga pur sempre moderatamente elevata e le riserve idriche del suolo deficienti, la coltura del pomodoro, se sostenuta da razionali interventi agronomici, riesce a produrre frutti di buona pezzatura e di particolare sapidità.
Dal punto di vista meteorologico il territorio è caratterizzato dalla concentrazione delle piogge nel periodo autunno-vernino; di contro, nel periodo primaverile e soprattutto in quello estivo le piogge sono quasi del tutto assenti.
Le precipitazioni sono concentrate per il 77% circa nei sei mesi autunno-invernali (da ottobre a marzo); il rimanente 23% del semestre primaverile estivo (da aprile a settembre) si registra quasi esclusivamente in aprile, maggio e settembre. Il climogramma di Peguy riferito alla zona interessata mostra un periodo arido da maggio a settembre ed uno temperato da ottobre ad aprile. Le temperature medie annue si attestano intorno ai 15-16 °C, con minime del mese più freddo che vanno dai 4-6 °C, mentre le massime del mese più caldo si aggirano sui 30-32 °C.
Dal punto di vista pedologico i suoli che caratterizzano il comprensorio appartengono all’associazione dei “regosuoli – litosuoli – suoli bruni andici” e dei “suoli alluvionali – vertisuoli”, rappresentati da una morfologia di tipo submontano o collinare (tra 500 e 1000 m s.l.m.) con pendenze moderatamente ripide; la tessitura dei terreni è piuttosto sciolta e acquista un carattere più argilloso nei fondovalle dove i regosuoli possono cedere il posto ai vertisuoli o ai suoli alluvionali. La potenzialità agronomica di tali associazioni è buona e questi suoli vengono destinati alla coltivazione del seminativo od a colture arboree, compresa la vite.
Per quanto riguarda la tecnica colturale utilizzata, essa è caratterizzata da tecniche tradizionali del territorio tra le quali annoveriamo:
aratura: effettuata nel periodo tra agosto e ottobre con profondità tra i 35 e 40 cm; si effettuano in genere due ripassi nei periodi tra il mese di marzo e la prima decade di aprile con profondità di cm 20;
lavori di amminutamento: si effettuano dalla terza decade di aprile in poi con motocoltivatori e/o motozappa; l’operazione colturale si ripete due volte o tre volte in casi di terreni con natura tendenzialmente argillosa (questa tecnica favorisce il trapianto);
trapianto: avviene dalla seconda decade di maggio alla prima decade di giugno, apportando nella fase di messa a dimora soltanto una quantità di acqua pari a mezzo litro;
rincalzatura: si effettua dopo lo stress post – trapianto subito dopo l’emissione delle nuove radici all’altezza del colletto circa 15/20 giorni dal trapianto, tecnica che va eseguita manualmente. Si possono effettuare diverse rincalzarute al fine di conservare l’umidità del suolo interrompendo l’ascesa capillare, l’interruzione del sistema capillare riduce di almeno l’8% le perdite di acqua da evapotraspirazione.
Il sesto d’impianto tradizionale è di 0,7 metri sulla fila per 1,8 metri nell’interfila; il sesto di impianto è variabile in base al grado di meccanizzazione delle aziende agricole.
Con l’avvento della meccanizzazione ci si è spinti anche a sesti di coltivazione maggiori al fine di realizzare le operazioni di rincalzatura durante le varie fasi del ciclo produttivo mediante un ripuntatore, evitando pertanto di svolgere tale operazione colturale in modo manuale.
La coltura che un tempo veniva seminata mediante l’uso di varietà antiche in piccoli fossi, oggi più comunemente, è ottenuta attraverso l’acquisto di piantine presso i vivai, successivamente trapiantate.
In genere, in tali circostanze ambientali, gli interventi fertilizzanti necessariamente devono essere oculati, per adeguarli alle modeste disponibilità idriche del suolo, per cui si privilegiano fosforo e potassio e si parsimonia con l’azoto, tanto che frequentemente i rapporti di concimazione oscillano intorno a 1:1,5:2 (N:P2O5:K2O).
Ma è fondamentale notare che la concimazione viene effettuata esclusivamente i pre-impianto della coltura e in piccola parte e solo alcune volte in fase di giovane plantula, cosicché la pianta ha sufficiente tempo per organicare completamente i fertilizzanti minerali [5].
I concimi fogliari, quando necessari, vengono distribuiti dopo l’allegagione del primo palco fiorale e vengono interrotti almeno 25 giorni prima dell’inizio dell’invaiatura dello stesso palco; non vengono utilizzati fitoregolatori e/o attivatori chimici di ogni genere.
Nella coltivazione del pomodoro in regime di Seccagno la fisiopatia tipica è il Marciume Apicale dovuta agli scarsi apporti idrici; essa si manifesta principalmente su terreni leggeri e sabbiosi, che hanno una minore capacità di ritenzione idrica. Il Marciume può comparire a tutti gli stadi di sviluppo dei frutti; i tessuti della zona apicale dapprima diventano opachi e traslucidi, poi imbruniscono ed infine si forma la lesione necrotica che interessa il pericarpo.
Il risanamento ed il controllo degli attacchi fungini avviene con l’utilizzo di zolfi ventilati e ramati con apporto in percentuale maggiore di solfato di rame. Per il controllo dei patogeni si utilizzano, ove necessario, prodotti di terza classe per un massimo di due trattamenti mirati durante tutto il ciclo produttivo della pianta.
La raccolta, scalare, viene effettuata manualmente ogni 8/10 giorni secondo le condizioni climatiche. Essa può iniziare anche in fase di inizio invaiatura per il prodotto da destinare al consumo fresco (insalataro), mentre per la trasformazione in passata, concentrato (astratto) e pomodoro secco la raccolta può essere effettuata al raggiungimento della colorazione rosso intenso. Il prodotto è raccolto in casse di legno del peso di circa 20 Kg.
Per stimare le qualità nutrizionali ed organolettiche del Pomodoro Seccagno di Valledolmo, l’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana, il Comune di Valledolmo e l’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) di Roma portarono avanti uno studio sulle caratteristiche chimico-nutrizionali delle due cultivar di pomodoro (Brigade e Interpeel), coltivate in regime Seccagno nel comprensorio di Valledolmo su due differenti tipologie di terreno – sabbioso e argilloso – e ciascuna su tre altitudini differenti: 560, 760 e 850 m. Oltre alla composizione di base furono determinati i contenuti in carotenoidi (luteina, β-criptoxantina, licopene, β-carotene), costituenti che potrebbero essere maggiormente suscettibili di modificazioni, perché direttamente legati, oltre che alla maturazione dei frutti, anche a specifiche funzioni delle piante. Il contenuto in licopene è risultato molto più elevato di quello generalmentepresente in altre varietà di pomodoro; questo risultato indica sia la raggiunta maturazione dei frutti sia una minore attività enzimatica (ciclasi) che controlla la conversione del licopene in altri carotenoidi. La cultivar Brigade ha presentato un contenuto significativamente più elevato in β-criptoxantina e licopene rispetto alla cultivar Interpeel mentre valori più elevati di luteina furono stimati nella cultivar Interpeel. Le piante coltivate ad una altitudine di 850 m hanno presentato inoltre un contenuto in β-carotene superiore a quelle coltivate a 560 m.
Le conclusioni della ricerca hanno evidenziato come il Pomodoro Seccagno sia particolarmente ricco in licopene; tenendo presente la buona correlazione che è stata trovata tra diete ricche in licopene e riduzione del rischio di sviluppare il tumore della prostata, questo prodotto appare notevolmente interessante in virtù della caratteristiche chimico-nutrizionali analizzate nel lavoro sopradescritto.
In un periodo storico nel quale occorre iniziare a fare i conti con le ombre di un modello agricolo intensivo che ha determinato intolleranze, obesità ed impoverimento dei terreni e degli agricoltori che hanno inseguito il sogno di un modello produttivo agricolo industrializzato oramai in declino, preservare e valorizzare una tecnica tradizionale di coltivazione che produce un prodotto dalle sostanze importanti e preziose per la nostra salute e per quella dei nostri figli è un dovere di tutta la collettività; il Pomodoro Seccagno, per le sue proprietà salutistiche e nutritive, è un ottimo ingrediente di quella dieta mediterranea che abbiamo il dovere di tramandare alle future generazioni come patrimonio immateriale dell’umanità.
Dalla gentile collaborazione del Dott. Giuseppe Garlisi